mercoledì 10 aprile 2013

"SI TOLGONO LA VITA PERCHE' UCCISI DALLE TASSE" - di Giuseppe Cacopardo


La pressione fiscale al 52% del PIL porta anche a questo, al suicidio. Cittadini di uno stato che non
li guarda nemmeno in faccia e permette che si tolgano la vita stremati e oppressi dalle continue tasse, imposte e pagamenti vari.
Sono le storie di molti imprenditori italiani che a causa della crisi economica che il Paese sta attraversando sono costretti a ridurre la loro produttività, tagliare il numero dei dipendenti e, al peggio, chiudere.
Lo Stato rema contro. Se da una parte la crisi distrugge, il fisco uccide.
Questa è la decisione estrema che si compie quando, logorati dalla vergogna di non avere più nulla, non si riesce a pagare.
Più della metà di ciò che produciamo (PIL) va allo Stato. Ecco che le politiche fiscali sommergono e soffocano le politiche produttive. Quando ciò avviene tutto si blocca, l'economia si arresta, il denaro non circola più e la gente ha sempre meno. E' quello che accade qui in Italia.
In Europa siamo tra i paesi con il maggior numero di tasse e le più alte somme da pagare. Siamo anche uno dei paesi più burocratizzati. La burocrazia rallenta incessantemente tutte le nostre, anche più semplici, operazioni. Chi è in difficoltà lo sarà ancora di più se dovrà confrontarsi con la burocrazia. Nulla può essere compiuto velocemente e senza intoppi (nei limiti della legalità, ovviamente) che coerentemente manca una fotocopia, o una fotografia, o un foglio, una firma qui e una firma la.
Le ultime vittime dei suicidi per crisi sono i coniugi Sopranzi di Civitanova Marche impossibilitati nel pagare il mutuo ed essere a posto con l'Inps. L'altra vittima è Romeo Dionisi anch'egli ucciso dalla vergogna di poter più pagare nulla.
Il presidente della Camera Laura Boldrini ha deciso di prendere parte ai funerali, ma al suo arrivo è stata subito fischiata e derisa in quanto rappresentante dello Stato.
Viviamo in un paese che guarda impassibile i suoi cittadini morire uccisi dal malfunzionamento della politica.

domenica 7 aprile 2013

"VOLEVA UCCIDERE JUSTIN BIEBER" - di Giuseppe Cacopardo

Se non poteva essere suo non doveva più esistere.
L'amatissima giovane pop star canadese Justin Bieber voleva essere fatto fuori da uno dei suoi più sadici e sfrenati fan.
Dana Martin, 45 anni, detenuto nel carcere del Nuovo Messico, aveva escogitato alla perfezione un piano per togliere Bieber dalla circolazione, insieme a lui la guardia del corpo. Il cantante doveva essere rapito dopo il suo concerto di novembre al Madison Square di New York, torturato e poi ucciso definitivamente.
Questo era quanto voleva Martin preso dalla rabbia e dall'invidia.
Amava Justin alla follia, lo sognava di notte, se lo è fatto tatuare sulla coscia e gli scriveva lettere dalla cella. La mancata risposta a queste lettere ha scatenato in Martin un'ira incontrollabile e un profondo senso di gelosia che ha scaturito la sua furia omicida. Justin Bieber doveva essere strangolato con un foulard e castrato con cesoie da giardino.
Dana Martin pero, trovandosi in cella, non avrebbe preso parte all'uccisione della star che invece avrebbero compiuto due suoi complici: l'ex compagno di prigione Mark Staake e il nipote.
Arrivati in Canada i due sono stati intercettati e fermati. L'ex compagno di prigione di Martin, che godeva di una libertà condizionata, è stato poi arrestato. Il piano così fallì.
Il bottino previsto dopo il compimento dell'agguato era di cinquemila dollari a testa.
Ora Justin è stato costretto a potenziare la sua scorta che lo segue sia di giorno che di notte, non solo mentre lavora, ma anche nel tempo libero.
Bieber non si è lasciato intimorire e il 23 marzo infatti si è esibito a Casalecchio di Reno, nel bolognese, per la gioia dei suoi fans italiani.

sabato 6 aprile 2013

"LA SCUOLA PUBBLICA, TRA TAGLI E POVERTA'" - di Giuseppe Cacopardo.

 
La spesa del nostro paese destinata alla scuola e alla cultura è pari all'1,1%, peggio di noi solo la Grecia.
Questo dato allarmante è fonte di uno studio compiuto da Eurostat riguardo la spesa dello Stato in materia di istruzione e cultura nel 2011.
Si deduce che lo Stato investe troppi pochi soldi in uno dei settori fondamentali della società, dove la persona entrando viene formata, istruita ed educata al fine di essere cittadino.
La situazione della scuola pubblica in Italia è estremamente complicata. Non serve il dato di Eurostat per comprendere quali ambienti e quali proposte di governo vengano riservati alla scuola pubblica.
Siamo i penultimi in Europa quasi in tutto. Magari tra i primi parlando di turismo o campo alimentare, ma in termini di formazione, istruzione e cultura siamo giudicati come "il fanalino d'Europa".
Per decine e decine di anni si è lottato affinché la Scuola diventasse un diritto per tutti a prescindere da reddito, condizione sociale e orientamenti vari. La Scuola è un diritto e oggi è minacciata. Vittima di una mancanza costante di fondi, tagli di spesa e di personale e un susseguirsi di problemi burocratici e amministrativi che non fanno altro che peggiorare le cose.
La figura del docente, individuo che ha deciso di donare la propria vita alla scuola studiando parecchi anni per ottenere lauree e abilitazioni per insegnare, è inaccettabilmente sminuita. Egli è visto come un semplice dipendente statale, quindi vittima anche lui di tutti quelli che sono gli interventi a sfavore della sua classe di lavoratori, e non come persona incaricata del dovere di istruire, formare ed educare tante altre persone che un giorno dovranno confrontarsi con il futuro. Egli è quindi il responsabile della preparazione al futuro dei futuri cittadini e membri di una società civile. Lo Stato tutto questo non lo comprende.
L'Italia vive una pesantissima situazione economica e politica e per tentare disperatamente a risanare il debito pubblico il governo toglie, potremmo dire ruba, i soldi a settori come la Scuola e la Sanità; all'istruzione e alla salute. Lo Stato non prende i soldi da dove effettivamente ce ne sono, e parecchi anche, ma da settori già da tempo minacciati e indeboliti sempre più.
La riduzione dei fondi destinati alla scuola e il taglio di personale: ha creato questo: classi "pollaio" dove vi sono stipati una trentina di alunni seguiti da un solo insegnante, ambienti fatiscenti e miserabili, apparecchiature scolastiche obsolete e fatiscenti, riduzione drastica delle attività proposte dai POF e delle iniziative extracurriculari, tensione continua tra docenti stessi e studenti... L'elenco potrebbe ancora andare avanti, ma solo per citare alcuni dei tristi aspetti che descrivono la situazione della Scuola Pubblica Italiana. Vergogna. Ricordiamoci che c'è gente che ha lottato duramente al fine di creare un sistema scolastico degno di un Paese che ascolta i doveri dei cittadini e aperto sul mondo.

mercoledì 3 aprile 2013

"TORONTO, UNA CITTA' CENTO E PIU' LINGUE" - di Giuseppe Cacopardo


Vi trovate a Toronto, il vostro inglese è pessimo, e avete bisogno di soccorso? Tranquilli, il 911 in questa città è attrezzato per rispondere in 150 lingue diverse.
Toronto è la prima città canadese per numero di abitanti, il 36% dei quali non è di origine europea. Sono più di cento le lingue che si parlano tra le strade di uno degli ambienti più multiculturali del mondo. Il 52,6% degli abitanti è costituito principalmente da, in ordine, britannici, irlandesi, francesi ed italiani. Non c'è infatti da stupirsi se da qualche parte, specialmente riuniti nelle caffetterie dei centri commerciali, si incontrano gruppi di anziani signori italiani che conversano tranquillamente magari in qualche dialetto nostrano.
L'immigrazione è un fenomeno chiave di questa città vista la presenza di individui da tutto il mondo. Essi sono perfettamente integrati nella società ed occupano anche posti di prestigio in ambito lavorati. La risposta che si riceve da qualcuno che non sembri puramente canadese quando si chiede "Da dove vieni?" è "I'm Canadian!" (sono canadese). Orgogliosamente questa è la risposta. Il vivere in un ambiente multiculturale è l'assoluta normalita in Canada e la severità delle politiche d'immigrazione fa si che la legge venga rispettata alla perfezione da ogni singolo cittadino canadese. La rigidità delle stesse, anche se possono sembrare poco tolleranti, agevola il processo di integrazione dell'immigrato nel nuovo ambiente in cui si viene a trovare. Egli stesso, se possiede i requisiti richiesti dalla legge, non avrà alcun problema ad occupare tranquillamente un posto nella nuova società. La gente di Toronto queste cose le sanno.
Se si pone a confronto la situazione descritta in Canada e quella in Italia le differenze, sotto certi aspetti sono abissali. La persona che entra in Italia in condizioni di clandestinità trova una situazione che gli permette di sfuggire a ciò che prevede la legge in materia di immigrazione; ora la clandestinità è un reato anche nel nostro paese. La scarsa severità di queste leggi non va assolutamente a favore dell'immigrato perchè rallenta l'integrazione e l'inserimento della società italiana. Una nazione che non opera con severi controlli per quanto concerne l'immigrazione non fa del bene a coloro che lasciano i loro paesi per recarsi in Italia. La legge serve e va rispettata, intensificata se necessario.
Toronto è apprezzata e conosciuta per l'alto livello di sicurezza. Tutto è a favore della sicurezza dei cittadini, in particolare per le donne: hanno la possibilità, dopo una certa ora della sera, di indicare al conducente dell'autobus il punto più vicino per scendere in modo da ridurre al minimo il camminare da sole per la città e rincasare velocemente.
Camminare da soli per strada o usare i mezzi pubblici ad orari scomodi della sera non intimorisce perchè è come se i canadesi avessero infuso il rispetto preciso, o meglio, quello che si chiama codice di comportamento dell'Ontario.
Oltre ad essere una città ottima sotto questi punti di vista, è anche ricca di storia, cultura ed arte, ma anche natura e luoghi adatti a qualsiasi tipo di interesse.
Meta di studenti da tutto il mondo per i numerosi corsi di inglese offerti, è una delle attrazioni turistiche più visitate. Ne vale la pena viverci.

martedì 2 aprile 2013

"ITALIA, TRA CRISI ECONOMICA...E POLITICA" - di Giuseppe Cacopardo


"L'antipolitica è stare seduti in parlamento trenta/quarant'anni pensando che il rinnovamento consista nel cambiare continuamente nome al partito...".
Così inizia la canzone Vaffancuba dei Two Fingerz, una frase del giornalista e vicedirettore del Fatto Quotidiano Marco Travaglio. Una canzone che inquadra alla perfezione il tipo di "uomo politico" che il cittadino italiano è, volente o nolente, chiamato a sopportare.
Il degenero più totale della politica italiana, alcuni sostengono sia iniziato con il ventennio di Berlusconi, è databile 24 gennaio 2008 quando il governo di centrosinistra allora in carica cadde il suo presidente del consiglio si dimise dall'incarico. Egli governò il paese per un totale di 722 giorni, poco meno di due anni.
Il 7 gennaio 2008 venne chiamato a formare il governo, dopo la chiamata degli italiani al voto, il centrodestra. Il 12 novembre 2011 Silvio Berlusconi sale al quirinale per porgere al Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano le sue dimissioni dall'incarico di capo del governo.
Ecco così terminato il rimbalzo a destra e a sinistra. Anni in cui il popolo italiano non è riuscito ad imparare a memoria tutti i nomi dei ministri di almeno una delle due coalizioni.
Dopo le dimissioni presentate da Berlusconi quattro giorni dopo, lo stesso Presidente Napolitano affida quasi disperatamente, la disperazione degli italiani arriverà dopo, l'incarico di formazione del governo a un gruppo di professori, i cosiddetti tecnici. Sale al potere il governo tecnico, nè di destra nè di sinistra, messo in parlamento senza elezioni, ricordando che il voto è la massima espressione della Democrazia, con a capo un professore di economia all'università Bocconi di Milano, il signor Mario Monti.
Un consiglio dei ministri nuovo, sobrio si definisce lo stesso Monti, a loro il compito di salvare l'Italia che stava per affondare. "Senza Monti finivamo a rischio Grecia" dicono i sostenitori del professore.
Le sorprese arrivano una dietro l'altra. Alla guida del Ministero del Lavoro c'è una signora di sessantacinque anni chiamata a pensare a tutto ciò che concerne il lavoro e politiche sociali.
La signora Fornero, a chiamarla Ministro bisognerebbe pensarci, è intervenuta sull'articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori in maniera tale da sollevare le masse ormai furiose di lavoratori e sindacati, ha innalzato l'età pensionabile frenando di colpo il turnover, ha detto che i giovani sono viziati, lo ha detto in inglese choosy, perchè non vogliono fare certi lavori e pretendono troppo dal mondo del lavoro (cosa che in Italia è quasi diventato un bene di lusso) e avrebbe affermato che il lavoro non è un diritto. Tale affermazione ha spinto le forze di Italia dei Valori e Lega Nord a procedere con una mozione di sfiducia individuale. I risultati della votazione: 88 deputati a favore della sfiducia, 435 contrari e 18 astenuti. La Fornero rimane in carica. Colei che mentre comunica l'innalzamento dell'età pensionabile, piange.
L'operato del governo tecnico non finisce qua: IMU sulla prima casa il cui pagamento ha prosciugato letteralmente le tredicesime, la massa di esodati, le aziende chiuse, la percentuale di giovani senza lavoro hai massimi storici, oggi si attesta all'11,6%, le nuova tassa sui rifiuti, l'aumento dell'IVA, i tagli all'istruzione e alla sanità. Tutto però approvato affettuosamente da Angela Merkel, fan numero uno del presidente Monti.
I sostenitori del professore giustificano la loro scelta, scelta civica, dicendo che grazie a Monti abbiamo la credibilità in Europa e che la sua politica è assolutamente necessaria al fine di non sprofondare nel baratro. Introducendo nuove pesanti tasse e tagliare a destra e a manca farà pur sorridere le casse dello Stato e ridurre il debito pubblico, quello italiano è di circa duemilamiliardi di euro, ma farà piangere i cittadini e le piccole e medie imprese. Farà suicidare gli imprenditori tormentati da un fisco senza tregua, ma l'importante è avere la credibilità in Europa e far guadagnare allo Stato. I cittadini sono importanti fino ad un certo punto, quando si tratta di economia facciamo fare a chi è competente, così si credono.
Il 21 dicembre 2012 Mario Monti annuncia le sue dimissioni e vengono fissate le date per le prossime elezioni, neanche i tecnici hanno retto, la parola al popolo, finalmente si rispetta il primo articolo della Costituzione.
Arriva il momento in cui vengono comunicati i risultati delle votazioni del 24 e 25 febbraio 2013: al primo posto il Partito Democratico (Bersani), al secondo posto il PDL (Berlusconi) al terzo posto il partito Movimento 5 Stelle (Grillo). Il M5S risulta il primo partito d'Italia (si parla di partito, non di coalizione), il signor Monti con Scelta Civica guadagna il 10% dei voti e rimangono fuori dal parlamento Oscar Giannino, Ingroia, Pannella e chi alla poltrona si era fossilizzato, ovvero Fini e Di Pietro.
Bersani risulta il vincitore delle elezioni ma il numero di seggi in parlamento non gli permette di formare un governo stabile, chiamasi condizione di ingovernabilità.
Rimaniamo per un pò di tempo senza governo e...senza papa. In Italia manca sia il governo che il papa, la condizione perfetta per procedere ad un colpo di stato, sicuramente con successo.
Ora Napolitano ha dato a dieci saggi, nessuno sa chi siano costoro, di formare un qualcosa, un governo? Non si sa come definirlo...
Il problema è che in Italia la crisi non è solamente economica, è anche politica. Oltre ad avere un'economia fragile, la condizione politica rema contro ogni ipotesi di risollevamento. Politici corrotti, ladri di soldi pubblici, evasori, maiali che si rotolano nel fango dei benefici, delle auto blu e dei privilegi spettanti ad una esosa classe politica non conforme con la vera identità del popolo italiano.
"L'Italia è una Repubblica democratica fondata sul Lavoro, SOVRANITA' APPARTIENE AL POPOLO CHE LA ESERCITA NELLE FORME E NEI LIMITI DELLA COSTITUZIONE." Non dimentichiamoci di questo ultimo particolare...